sabato 11 aprile 2009

TRA ESILIO E REGNO

Dopo il voto in Sardegna e altre mazzate l’ultimo velo di Maja si è strappato. Niente di nuovo e tutto perfettamente nuovo, in qualche modo. Di profezie – facilmente verificabili, autoavveranti – sulla fine della sinistra o la sua morte se ne sono scritte sin troppe, a conti fatti, e aver avuto ragione non consola. “Giungemmo, è il fine”, faceva dire il poeta al suo Alessandro Magno, il condottiero, ma il fine, oggi, è proprio il contrario del suo: quel mare aperto, lo sconfinato e affascinante orizzonte di un Ignoto. Claustrofobia e stagnante immobilismo, insofferenza: siamo qui dove stiamo, in una fogna. Un paesaggio di macerie, un mondo stanco, una società più disgustosa che marcia, irredimibile. D’accordo, era tutto previsto, ma che importa? Nel disastro generale, perdere di vista i dettagli è il primo errore. Oggi che anche i più fiduciosi, anche i più machiavellici e i più illusi, si rendono conto bene o male di non aver più neanche uno straccio di sponda, un alleato, crogiolarsi in una vana “cupio dissolvi” serve a poco. La situazione è sgradevolmente semplice, lineare. C’è poco, molto poco da dire ma restano un mucchio di cose da fare – e da far bene – però nel vuoto della teoria, senza visione, nella consapevolezza triste di un’impotenza. C’è un unico paradosso che in qualche modo sconcerta o fa sperare. Di cambiare la società, cambiare il mondo, non se ne parla più e anche a ragione (perché chi ne parla è un cialtrone o un demagogo) ma il fatto strano è che mai come adesso il mondo e la società cambiano e in fretta e il territorio che ci circonda – davvero come un nemico, un avversario – è una scena mutante e indecifrabile che non riconosci più, e non sei il solo. Anche comicamente, se vogliamo, la sinistra celebra il suo funerale nell’isteria mentre certe sue vecchie ragioni – o profezie – si prendono una mesta rivincita nei fatti e il corso del mondo si rivela per l’ennesima volta una beffa fantastica, una burla. Giravolte della storia, inciampi, casi strani. Bisognerebbe provare a ragionarci su, senza impazienza.Non avendo teorie, visioni, strategie proviamo almeno a farci storici del presente, a essere attenti. Ci costringono (il potere e i media, che poi è la stessa cosa, la stessa trappola) a guardare sempre da un’altra parte, quella sbagliata. Mistificazione, si chiama, ideologia. Nei giorni delle elezioni in Sardegna, tanto per dire, abbiamo vissuto tutti dentro una bolla di vetro, e nell’inganno, ossessionati dall’ombra artificiale di una morte privata costretta in pubblico, incantati dalla violenza indecente di un imbroglio. Quella ridicola disfida tra la vita e la morte, l’anima e il corpo, sul letto di morte di una ragazza già morta da una vita… Bioetica e biopotere, crucci anche seri, ridotti a puro talk-show, farsa demente. Nelle “Mille luci di New York” – il molto sopravvalutato libro-culto che avrebbe aperto la breve stagione del minimalismo – alle irrilevanti vicende del protagonista, un piccolo yuppie isterico, nevrotico, faceva da contrappunto terrificante il coro greco di una voce pubblica assordante (radio, tv, giornali, chiacchiere da bar) impegnata nel perenne commento-aggiornamento della famosa vicenda del bambino in coma. Come se il “coma” fosse la chiave segreta del tempo, la sua croce e mistero, la verità. Cose di ieri che sembrano cose di oggi, attualità. Guardare sempre da un’altra parte, quella sbagliata, aggirare le questioni più serie, quelle più urgenti: se c’è una verità, o una lezione, andrebbe letta alla rovescia, dentro uno specchio: il coma riguarda i vivi, le coscienze, quella cosa che chiamavano una volta democrazia e adesso conserva quel nome soltanto per distrattissima inerzia o abitudine. Che avere il potere significhi imporre l’ordine del discorso, delimitarlo, è una banalità di base irrefutabile ma qui veramente spiazzante, preoccupante, e l’idiozia congenita di tutta una società, di una cultura, l’assoluta incapacità di sottrarsi a questo gioco, sabotarlo.